Sindrome del colon irritabile: il possibile ruolo della dieta a basso contenuto di FODMAPs nel miglioramento della disbiosi intestinale e della sintomatologia
La sindrome dell’intestino irritabile (IBS) è un disturbo gastrointestinale cronico, la cui fisiologia non è ancora molto compresa ed è una delle malattie più diffuse dell’apparato digerente.
È più frequente nel sesso femminile rispetto a quello maschile, colpendo principalmente le persone al di sotto dei 50 anni, con un’incidenza dal 10 al 20 % della popolazione mondiale. La prevalenza tra i paesi varia a seconda delle differenze di cibo, cultura e diagnosi.
Viene diagnosticata in quattro tipi: IBS con alvo stitico (IBS-C), IBS con alvo diarroico (IBS-D), IBS con un modello misto di diarrea / stipsi (IBS-M) e IBS non classificata.
Da un punto di vista clinico è caratterizzata da periodi più o meno prolungati di dolore addominale, meteorismo, disfunzione intestinale ed alterazione dell’alvo sia a livello di frequenza che nella forma delle feci. L’assenza di sintomi più conclamati come perdita di peso corporeo, anemia e sanguinamento gastrointestinale supportano il sospetto di IBS, piuttosto che di una malattia organica di base più grave.
Oltre a un disagio intestinale, la maggior parte dei pazienti avverte anche diversi sintomi a livello extra intestinale come: affaticamento, fibromialgia, dolore all’articolazione tempero mandibolare e riduzione dei rapporti sociali per via dello stress derivati da un malessere fisico/psichico. Per tale motivo può essere difficile diagnosticarla, soprattutto in una fase iniziale della malattia.
Pertanto la sindrome dell’intestino irritabile pur non essendo una malattia mortale e organica, compromette in maniera negativa la qualità della vita di una persona, aumentando nel frattempo i costi dell’assistenza e della ricerca sanitaria.
Inoltre la sua fisiopatologia non è ancora del tutto nota, ma di base comprende l’ipersensibilità viscerale, l’infiammazione del tratto digerente, l’alterazione della motilità/disbiosi intestinale e disfunzione dell’asse cervello-intestino.
La gestione dei pazienti affetti da questa malattia è molto impegnativa e di base è importante una buona relazione tra medico-paziente, riduzione dello stress, seguita da consigli generali sullo stile di vita ed un’accurata educazione alimentare. Sia le persone affette da questa sindrome che i medici specialisti, hanno evidenziato una forte associazione tra l’assunzione di alcuni tipi di alimenti e i sintomi ad essa correlati.
Per i pazienti che non rispondono a ciò, l’approccio terapeutico può essere affiancato anche da un trattamento farmacologico, a seconda dell’entità dell’IBS e basandosi sul sintomo predominante, o non farmacologico attraverso la somministrazione di probiotici, prebiotici, simbiotici.
Ad oggi non è possibile guarire dalla sindrome del colon irritabile, ma si può controllare ed ottenere sollievo attraverso l’alimentazione, poiché il cibo ha un duplice ruolo nell’IBS: è un fattore scatenante dei sintomi, ma anche uno strumento per la terapia. Infatti alcune persone possono collegare i loro fastidi a determinati alimenti, quindi evitarli può alleviare alcuni di questi disturbi.
Molti pazienti provano anche diete molto restrittive come quella del lattosio e del glutine per alleviare i sintomi, ma con pochi risultati. Attualmente per il contenimento dei sintomi sta prendendo grande importanza la dieta alimentare, in particolare l’approccio terapeutico Low-FODMAPS (LFD) a basso contenuto di oligosaccaridi, disaccaridi e monosaccaridi, grazie alla quale i pazienti con IBS mostrano un miglioramento della sintomatologia. LFD si trovano in prodotti lattiero caseari, cereali e derivati, ortofrutta, dolcificanti, legumi, miele e succhi di frutta.
Nelle persone affette da IBS si assiste ad uno squilibrio della flora intestinale, poiché i FODMPAS sono carboidrati facilmente fermentabili e i gas risultati da questo processo, essendo poco assorbiti a livello intestinale, provocano gonfiore. Inoltre attraverso il loro effetto osmotico causano, insieme ai gas derivanti dal processo fermentativo, distensione del colon, producendo i sintomi sopra citati. Limitando la loro assunzione e comprendendo il livello di tolleranza individuale ai frutto-oligosaccaridi, c’è la concreta possibilità di migliorare la qualità di vita dei pazienti affetti da questa condizione clinica.
La dieta low FODMAP è suddivisa in tre fasi definite con l’acronimo ESP: eliminazione, reintroduzione di prodotti contenenti FODMAP per valutare la tolleranza individuale e personalizzazione.
La fase di eliminazione, consiste in una riduzione dei FODMAPS dalle tre alle sei settimane e dovrebbe essere vista come un test, per valutare se la persona è sensibile o meno a questi alimenti. In questa fase la velocità con la quale i sintomi migliorano, dipende da quanto è restrittiva questo tipo di dieta, rispetto ad una alimentazione abituale. Se non si ottiene nessuna risposta la dieta viene stoppata, in caso contrario i pazienti passano alla fase di reintroduzione per valutare il loro grado di tolleranza
Nella seconda fase di reintroduzione, gli alimenti vengono reinseriti gradualmente e con una durata variabile, una o più volte alla settimana gli alimenti contenenti FODMAPS, per testare la sensibilità della persona. Dopo di che sotto la guida di un dietista/nutrizionista, si verificheranno i tipi di alimenti e la quantità settimanale di cibo tollerato, senza che la persona avverta sintomi e da lì verrà impostata la terza fase della dieta, ossia di personalizzazione, dove la persona si potrà gestire in maniera autonoma.
Tuttavia sono state sollevate potenziali preoccupazioni e dubbi sulla dieta LFD, tra i quali: i costi, l’insegnamento e la compliance a lungo termine da parte del paziente. La maggior parte di questi problemi si riscontrano nelle persone che seguono la dieta senza una chiara figura di riferimento.
Quando si parla di sindrome del colon irritabile non esiste una soluzione unica che va bene per tutti, pertanto lo scopo della presente revisione è quello di far sì che il trattamento nutrizionale Low FODMPAS venga visto come un intervento dietetico efficace per la sintomatologia nei pazienti con IBS, nonostante abbia bisogno di ulteriori ricerche future.